lunedì 28 settembre 2009

UN Pò DI STORIA

La malattia è l'esito di una malfunzionamento organico o fisiologico del corpo umano, con compromissione reale o potenziale delle qualità di vita e quindi delle normali funzioni di un individuo.
Oggi è molto fondamentale riflettere sulla persona malata dal punto di vista non solo medico, ma anche cercare di avvicinarsi riflessivamente al suo vissuto.
Il concetto di vissuto viene chiamato in questo ambito ERLEBNIS; ERLEBEN significa quindi "essere ancora in vita quando una determinata cosa succede".
L'ERLEBTE è ciò che è stato vissuto in proprio, sperimentato direttamente.
Nel vissuto si intersecano da una parte l'immediatezza dell'esperienza e, dall'altra, il frutto di tale interpretazione (Erlebte).
Il vissuto è quindi il prodotto significativo dell'esperienza reale, concreta, personale, che diviene ricordo sedimentandosi nel tempo.
Quando una persona viene ricoverata, specialmente nel caso di bambini, non tutto ciò che accade intorno a loro viene percepita come rilevante ai loro occhi; occorre quindi tener presente di diversi fattori che li coinvolge:
1- il dolore come conseguenza delle patologie e delle manovre invasive a scopo terapeutico o diagnostico;
2- l'estraneità delle persone e delle realtà materiali che contraddistinguono lo spazio-tempo ospedale;
3- il mutato atteggiamento dei genitori per le regole ospedaliere cui devono rispettare;
4- le frustrazioni al libero esercizio della volontà o competenze cui il bambino è sottoposto.
Si può prevedere che la persona in ospedale rischi di perdere i legami con gli elementi significativi del suo ambiente fisico; il nuovo spazio gli può apparire estraneo, inaccessibile, sconosciuto.
La malattia comporta di solito una più o meno totale riorganizzazione dei ritmi e delle dinamiche familiari in funzione del tipo di diagnosi e delle cure che ne devono seguire.
L'immobilità richiesta dalla malattia può essere particolarmente frustrante e lesiva, impone rinunce costringendo il paziente all'isolamento, ad una dieta o all'immobilizzazione forzata, la quale quest'ultima può produrre aggressività che se non può essere espressa in alcun modo e quindi trattenuta, si possono manifestare irrequietezza, irritabilità, parole ingiuriose.
Nel caso di bambini piccoli fino all'adolescenza, la malattia può interferire nel processo di ricerca di autonomia e nella mente può formarsi una falsa rappresentazione della malattia come giusta conseguenza punitiva alle trasgressioni delle regole e può arrivare a pensare che quanto gli accade è attribuibile a forze esterne negative dalle quali i genitori per punizione non vogliono proteggerlo.
Possono sembrare quindi giusti castighi alle sue malefatte e sono spaventati soprattutto dalla minaccia per la propria integrità fisica, e questo timore rischia di mettere a repentaglio la sua capacità di iniziativa.
Nell'adolescenza è fondamentale la sensazione di poter controllare ciò che accade e quindi avere una parte attiva nella collaborazione alle cure.
La sintomatologia caratteristica è la depressione, data da intensa prostrazione, isolamento, inibizione motoria caratterizzata dalle difficoltà nello svolgere qualsiasi compito, anche quelli che in precedenza erano stati fonte di piacere.
Una persona malata sottoposta ad un intervento chirurgico, in anestesia totale o locale, con alcuni gironi di ricovero, ricava difficilmente da questo tipo di esperienza un adeguato sentimento di autostima.
L'identità diventa fragile e su ragazzi adolescenti il rientro dopo l'ospedale può far temere di vivere esperienze di inferiorità.
L'autostima è messa quindi a dura prova.
Le regole che gestiscono la vita quotidiana del reparto e dei suoi dipendenti non tengono conto dei bisogni e delle aspirazioni del paziente; oltre allo spazio anche la gestione del tempo è del tutto indifferente alle esigenze.
Affrontare l'esperienza di trovarsi in un luogo estraneo e ignoto, affollato da apparecchiature mediche, può indurre nel paziente sentimenti di disorientamento e di depersonalizzazione.
Dal punto di vista dei genitori con figli malati bisogna tener conto del disagio relazionale nella famiglia e la fragilità e insicurezza dei genitori stessi.
La malattia può essere interpretata come un segno di fallimento personale nel momento in cui si desiderava per il proprio figlio tutto quello che non si era potuto avere per sè.
Alla frustrazione segue o si accompagna l'angoscia.
Quando avviene la comunicazione della diagnosi i genitori reagiscono spesso inizialmente con uno shock, a cui fa seguito la prostrazione e l'abbattimento.
Alcuni genitori davanti ad un figlio con malformazione si deprimono e possono sentirsi profondamente soli, abbandonati a sè stessi; in altri casi dopo lo shock iniziale riescono a superarlo attraverso un processo di identificazione che è funzionale all'apprendimento di una vera e propria competenza nel prendersi cura di un figlio vissuto come estremamente fragile e prezioso.
L'OMS propone un concetto di salute come stato di benessere complesso, di ordine fisico, ma anche psicologico e sociale.
E' il modello di cura bio-psico-sociale che dovrebbe soppiantare il vecchio modello bio-medico.
E' una nuova visione del paziente e della malattia che propone uno sguardo d'insieme, che tenga conto cioè del punto di vista dell'ammalato e insieme della complessità che lo contraddistingue come persona, dotata di aspettative e desideri, bisogni e speranze psicologiche ed emotive, oltre che fisiche.
L'attenzione si sposta dunque dal DISAESE, ossia disfunzione dell'organo e dell'apparato, competenza esclusiva del medico, all'ILLNESS, ossia la malattia come viene vissuta dal paziente; è esperienza di malattia e come tale può essere definita solo con il contributo essenziale di chi lo vive sulla propria pelle: l'ammalato.

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